di Riccardo Tucci
Cambiamenti climatici e inquinamento. Cosa possiamo fare? Una riflessione propositiva per essere concreti e pragmatici nelle azioni per il nuovo decennio.
I
n questo articolo vogliamo affrontare, con argomentazioni tecnico scientifiche, quali sono le azioni che realmente possiamo fare per contrastare importanti fenomeni di cambiamento che tanto ci preoccupano (cambiamenti climatici in atto, aumento dell’anidride carbonica e inquinamento in generale).
In particolare ci soffermeremo sul ruolo delle piante nell’assorbimento dell’anidride carbonica e nella produzione di ossigeno.
IL POTENZIALE NASCOSTO DELLA NATURA
Anni fa, durante un corso di permacultura, organizzato dalla World Permaculture Association con la collaborazione di FLORA srl, ho avuto modo di conoscere il famoso ecologo, mentore della sostenibilità e regista John Dennis Liu.
Il suo più grande lavoro svolto è stato quello di documentare, a partire dagli anni ‘80, un’importante opera di restaurazione ecologica di ecosistemi degradati, su un intero altopiano Cinese (Loess Plateau). Per motivi legati a una eccessiva pressione antropica si verificava, in quei luoghi da anni, una massiccia desertificazione delle terre coltivate, con conseguente abbandono ed emigrazione di centinaia di migliaia di famiglie contadine.
In questo contesto, un progetto finanziato dal governo Cinese nel 1994 fece restare i contadini nelle loro terre, aiutandoli in un gigantesco quanto ambizioso processo di rigenerazione dell’intero altopiano.
Mediante tecniche di agricoltura naturale, ingegneria naturalistica e rigenerazione ecologica, vennero recuperati centinaia di migliaia di ettari di terre ormai divenute improduttive, formando terrazzamenti dedicati alle produzioni agricole, intervallati da pendii rimboscati con essenze autoctone a rapido sviluppo; il tutto in soli 10 anni!!
Il lavoro documentale di John Dennis Liu è talmente chiaro ed evidente che non dovrebbe lasciar più spazio a dubbi o perplessità. L’uomo è in grado di ripristinare interi ecosistemi anche su vasta scala, le tecnologie per farlo sono alla portata di tutti e per quanto la pia- nificazione e la progettazione degli interventi di re- staurazione siano necessarie e accurate, i lavori e le azioni da mettere in atto sono molto semplici e poco costosi. https://knaw.academia.edu/JohnDLiu
LA PRESENZA SUL PIANETA DI UNA CONGRUA “SUPERFICIE FOTOSINTETIZZANTE” DIVIENE PERTANTO LA CONDIZIONE ESSENZIALE
AL FINE DI ORGANIZZARE ADEGUATE CONTROMISURE PER RIDURRE LA CO2 NELL’ATMOSFERA
IL CONTRIBUTO DELLE PIANTE
Le piante, e più in generale tutti gli organismi vegetali complessi, occupano il mondo da circa 500 milioni di anni (lescienze.it) e da allora contribuiscono alla produzione di ossigeno e all’assorbimento dell’anidride carbonica con un bilancio positivo a favore dell’ossigeno. Mentre l’Homo Sapiens Sapiens prende posto sulla terra circa 200 mila anni fa, portando il proprio “contributo” con un’enorme produzione di anidride carbonica. Secondo vari studi confrontati tra loro, emergono alcuni dati molto interessanti sui quali suggerisco una riflessione: l’ossigeno prodotto giornalmente sulla terra è dovuto all’azione principale degli alberi, delle piante acquatiche e delle alghe (Encyclopedia Brit- tannica, 1994). Le piante assorbono mediamente da 0,5 a 1,6 g al giorno di CO2 per dm2 di superficie fogliare (Hausen). Nel complesso si parla di una media che va da 8 a 22 tonnellate di CO2 assorbita per ciascun ettaro di superficie fogliare attiva in un anno (L. Monfroni-1987). Seppur questi dati siano riferiti a medie assolute, che pertanto non possono essere applicabili sul singolo caso specifico, possiamo comunque dedurre che un bilancio scientifico sul reale fabbisogno di “superficie fotosintetizzante” pro capite si possa fare.
Il tutto al fine di porre in essere strategie di restaurazione ecologica tali da garantire una copertura costante del nostro fabbisogno mondiale di ossigeno. La tecnologia naturale che ha creato la “superficie fotosintetizzante”, seppur studiata e insegnata a partire dai banchi di scuola elementare, risulta ancora oggi una peculiarità unica e inimitabile che il mondo vege- tale possiede a differenza del mondo animale e umano. Il complesso biochimico, che porta alla stimolazione della clorofilla da parte dei fotoni, con successiva fissazione della CO2 in molecole complesse come il glucosio, risulta ancora oggi sfuggente nella sua in- tima complessità, ne è la riprova l’incapacità dell’uomo di ricreare in laboratorio una foglia artificiale.
DI QUANTI ALBERI E PIANTE ABBIAMO BISOGNO PER ASSORBIRE LA CO2 PRODOTTA OGGI DALL’UOMO?
Sono numerose e variegate le ricerche scientifiche che cercano di rispondere a questa domanda. In questo articolo faremo una di- samina dei dati già in nostro possesso, cercando di capire quant’è il quantitativo di “superficie fotosintetizzante” che ciascuno di noi dovrebbe “possedere” al fine di supportare la propria produzione media di CO2.
Il mondo botanico è costituito da una variabilità di specie talmente elevata, che diventa difficile trovare valori comuni tra ambienti diversi; ad esempio, la capacità fotosintetizzante di una foresta equatoriale, calcolata nell’arco di un anno, è nettamente superiore a quella di una taiga boreale. Altro esempio è il confronto tra una pianta acquatica, una foglia di quercia, un filo d’erba e una spina di cactus; come pure si potrebbe fare un confronto tra una foresta di conifere e una di latifoglie, la resa in fotosintesi è diversa e quindi è diverso anche il consumo di CO2 e il rilascio di O2 (Encyclopedia Britannica, 1994).
Per quanto riguarda l’ossigeno rilasciato dalle piante nell’atmosfera con la fotosintesi, si deve calcolare circa lo stesso volume di CO2 assorbita e consumata dalle stesse piante, considerando trascurabile l’ossigeno utilizzato per la loro respirazione (anche le piante respirano consumando ossigeno ed emettendo CO2 soprattutto durante le ore notturne), se paragonato a quello necessario agli altri esseri viventi.
Per quanto sopra riportato, la capacità di fissare la CO2, peculiarità del mondo vegetale, è riconosciuta anche dal protocollo di Kyoto che ammette l’utilizzazione delle foreste quale strumento per cercare di rallentare l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. Secondo le stime più accreditate, un grande albero con un diametro di circa 100 cm. incamera e consuma dai 270 g fino a 450 g di CO2 al giorno, mentre un albero di piccole dimensioni con diametro di circa 30 cm, o un grande arbusto cespuglioso, assorbono dai 60 fino a 150 g di CO2 al giorno.
(“Green Areas Inner-city Agreement” – GAIA).
Per confronto un uomo emette da 576 fino a 2400 g di CO2 al giorno dalla sua respirazione. (https://it.quora.com). Se facciamo un rapporto di questi dati su scala annua- le, possiamo dedurre che per soddisfare la produzione umana di CO2 per la sola respirazione, assumendo una produzione media giornaliera di 1500 g e considerando un assorbimento medio giornaliero di CO2 da parte degli alberi pari a 360 g, possiamo stimare una produzione annuale di CO2 di 547 kg da parte dell’uomo per la sola respirazione e un assorbimento di CO2 annuale da parte delle piante di 132 kg: ciò equivale ad avere almeno 4 alberi di grosse dimensioni per ciascun abitante della terra, al fine di sopperire alla produzione individuale umana di CO2 della respirazione.
Se prendiamo in esame anche le stime di produzione di CO2 da parte dell’uomo, non solo per la nostra respirazione, ma anche per tutte le attività umane, che spesso comportano grandi quantitativi di CO2 liberata nell’aria, i dati ufficiali in nostro possesso ci obbligano a una riflessione successiva molto più globale.
L’agenzia internazionale dell’energia (www.iea.org) che detiene il database delle emissioni costantemente aggiornato, calcola la produzione media globale di CO2 pari a 4,37 tonnellate/anno pro capite e di conseguenza possiamo calcolare il fabbisogno mondiale medio annuale di alberi che permettano un assorbimento della CO2 prodotta, stimato in 33 ALBERI ADULTI PER CIASCUN ESSERE UMANO.
Prima di entrare nello specifico dei dati sopra riportati, mi preme evidenziare come sia evidente che lo stile di vita di ciascuno di noi impatti in maniera estremamente elevata sulla produzione di CO2, con un numero mondiale medio di alberi necessari all’assorbimento della CO2 pari a 29 esemplari adulti contro i soli 4 alberi adulti necessari per l’assorbimento della CO2 prodotta nel processo di respirazione umana.
Se analizziamo poi i fabbisogni di alcune nazioni, possiamo notare che i paesi forti produttori di CO2 come gli USA hanno una produzione pro capite pari a 14,9 tonnellate/anno, che implicherebbe la presenza di ben 132 alberi adulti per ciascuno dei suoi abitanti, mentre nazioni che producono piccole quantità di CO2 pro capite (come ad esempio l’India) potrebbero coprire la propria produzione di CO2 mediante la messa dimora di 12 piante pro capite.
ALTRO ASPETTO DI FORTE INTERESSE RIGUARDA IL TASSO DI CRESCITA DELLA PRODUZIONE DI CO2
Negli ultimi 30 anni, a differenza di quanto si possa pensare, il tasso di produzione non è fortemente aumentato: l’incremento pro capite è passato da 3,9 tonnellate/anno nel 1990 a 4,4 tonnellate/anno dei nostri giorni. Questo aumento non così elevato è dovuto a una tendenza di decremento della produzione di CO2 da parte dei paesi più industrializzati, mentre le nazioni in via di sviluppo, oggi divenute colossi industrializzati, hanno rivelato livelli di produzione di CO2 via via sempre maggiori.
Casi emblematici sono le due nazioni citate in precedenza: gli USA a partire dagli anni ‘90 sono passati da 19,2 a 14,9 tonnellate/anno con una diminuzione di quasi il 20%, mentre l’India è passata da 0,71 a 1,84 tonnellate/anno con un aumento di oltre il 150%. (https://ourworldindata.org).
E IN ITALIA A CHE PUNTO SIAMO?
L’Italia oggi ha una produzione annua totale di circa 355 tonnellate di CO2, derivante dalle attività umane, che equivale a una produzione pro capite di CO2 pari a 5,9 tonnellate/anno, mentre il suo picco massimo è stato raggiunto nel 2004 con 8,47 tonnellate/anno.
Come gli USA, anche l’Italia ha diminuito la produzione dagli anni ‘90 a oggi, di circa il 20% (www. iea.org), mentre la stima di alberi pro capite perl’assorbimento annuo della CO2 prodotta complessivamente in Italia si quantifica in 44 alberi adulti.
Da questi 44 alberi pro capite dobbiamo, a rigore di logica, sottrarre i 4 alberi che servono alla sola compensazione della CO2 prodotta dal processo di respirazione di ogni singolo uomo, questo perché si presume che questa CO2 che definiamo “biologico-umana” è naturalmente già compensata dagli alberi già presenti, come avviene del resto per tutti gli altri esseri viventi sulla terra.
Abbiamo pertanto un quantitativo di 40 ALBERI PRO CAPITE, che devono invece essere messi a dimora in Italia per compensare la CO2 che definiremo come “antropico-industriale” relativa alle nuove emissioni derivanti della nostra società basata sulle risorse fossili.
Ricordo che i combustibili fossili e tutto il processo di industrializzazione che producono CO2 derivante da materiali organici (il petrolio, il gas naturale e il carbone) sono stati incamerati nel sottosuolo della terra milioni di anni fa e pertanto sottratti in quel momento al bilancio della CO2 atmosferica.
IL CALCOLO DEGLI ETTARI NECESSARI PER I NUOVI ALBERI, È DI CIRCA L’8% SUL TOTALE COMPLESSIVO DEL TERRITORIO ITALIANO
Calcolando pertanto il numero di alberi necessari a compensare la CO2 “antropico-industriale italiana” dobbiamo moltiplicare 40 piante adulte pro capite per il numero di esseri umani che popolano la nazione Italia (60,6 milioni); da tale calcolo emerge che servono circa 2,4 MILIARDI DI NUOVI ALBERI, oltre a quelli già presenti. Il numero sicuramente elevato non deve scoraggiarci in quanto, a oggi, le foreste italiane hanno un tasso di incremento per fenomeni di rigenerazione naturale pari allo 0,6%, che corrisponde a circa 71,5 milioni di nuovi alberi ogni anno (Infc2005).
Per le nostre esigenze, questo processo naturale è troppo lento, ritengo che si possano e si debbano mettere in atto velocemente azioni di creazione massiccia di foreste in aree degradate e marginali seguendo i principi di restaurazione ecologica riportati all’inizio dell’articolo.
Sulla base di questo ragionamento possiamo individuare, su scala regionale, quale sia il quantitativo necessario per raggiungere in tempi rapidi il fabbisogno, valutando eventuali interventi mutualistici tra regioni confinanti e non solo. Se pensiamo che regioni come la TOSCANA hanno già censito circa 500 mila ettari di terre abbandonate o incolte, diviene molto semplice poter auspicare la gestione di un piano di restaurazione ecologica su vasta scala che, come ci insegna John Liu, possa ricreare un patrimonio forestale in soli 10 anni.
Purtroppo a oggi non tutte le regioni posseggono un database aggiornato che quantifichi le terre incolte e abbandonate; punto di partenza per l’elaborazione di un piano nazionale di riforestazione per il sequestro della CO2 in eccesso.
L’organizzazione e la pianificazione sono due elementi fondamentali per porre in essere questo genere di azioni, e al giorno d’oggi abbiamo tutte le premesse per poter realizzare un intervento di restaurazione ecologica che permetta a noi e alle generazioni future di non dover più sovraccaricare il nostro ecosistema di fardelli ecologici che divengono un debito ambientale insostenibile per noi e per il nostro prossimo.
a cura del Dott. agronomo Riccardo Tucci
Co-Fondatore di Permacultura professionale
www.permaculturaprofessionale.com